15 ottobre 2005

La favola delle piccole manie (Il favoloso mondo di Amèlie, 2001)


In una Parigi senza tempo colorata come un quadro di Gauguin vive Amélie Poulain (Audrey Tautou), una ragazza solare ma timida che ha fatto dell’altruismo la sua missione. L’atmosfera che si respira è quella del Montmartre del passato, quello degli artisti, bohémien e bizzarro, dove l’eccentricità è la regola. Questa è la favola del mondo di Amélie, dove tutto, dalla voce di un narratore che non vedremo mai alla recitazione e all’uso sapiente della telecamera, riporta a quel surrealismo dal sapore un po’ retrò di una vecchia fiaba per bambini. Ma come il racconto di Carrol, la storia di questa Alice smaliziata in un paese delle meraviglie moderno nasconde dietro la sua leggerezza nevrosi, paure e incertezze di una società che non vuole smettere di sognare; paladina dei più deboli come Zorro, Amélie si fa custode di questa dimensione onirica realizzando i desideri di chi incrocia la sua strada e punendo chi, come il sig. Collignon, irrompe con il suo brutale ed arrogante realismo in questo spazio, dove unica coordinata temporale è la morte della principessa Diana (Agosto 1997). Come la ragazza col bicchiere di un quadro di Renoir, che il suo amico Raymond, insoddisfatto, ridipinge ogni anno, Amélie non trova il suo posto all’interno della cornice: distratta dalla vita degli altri, non riesce ad ottenere quello che vuole per sé stessa, bloccata soltanto dal pudore che le impedisce di confessarsi a Nino (Mathieu Kassovitz, già in “Assassins” e “Il 5° elemento”). E’, infatti, una commedia delle piccole cose (un tempo si sarebbe detto “da salotto”); le storie di ognuno nascono dalla timidezza piuttosto che dall’ipocondria, dai ricordi del passato o da una raccolta di fototessere; e un divertente minimalismo caratterizza la narrazione: tutti i personaggi sono delineati sin da principio dalle loro stravaganze e fobie, da ciò che gli piace o che non sopportano; è questo micromondo che il regista vuole fotografare, ciò a cui normalmente non si da peso o di cui non ci si accorge perché minuscolo di fronte alle grandi tematiche che si affrontano oggigiorno. Jean Pierre Jenet, accantonando il cinismo di “Delicatessen”, ha creato una favola dei buoni sentimenti, in cui il buonismo e solo un paravento che cela un’intelligente ironia sulle manie delle persone. Ironia ben espressa dalla Tautou: a suo agio nei panni della fatina buona, è dotata di una semplicità disarmante, alla quale oppone uno sguardo tutt’altro che ingenuo. Un film che mette di buon umore.

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