17 novembre 2005

Il genere horror (II): il linguaggio.


Nel suo saggio Storia e Discorso, Seymour Chatman divide ogni forma narrativa in Storia (il materiale oggetto della narrazione) e Discorso ( la forma narrativa attraverso cui si sceglie di comunicare). Rimandando a più avanti le riflessioni sulla Storia, vorrei soffermarmi brevemente su quegli aspetti cinematografici più tecnici, che caratterizzano lo stile ed il linguaggio del genere horror, quegli elementi, cioè, propri del Discorso.
Nel linguaggio cinematografico l’uso della macchina da presa ed il montaggio delineano la grammatica e la sintassi dello stile di un genere (nel nostro caso l’horror), come fanno in letteratura l’uso delle parole e la costruzione dei periodi. Il genere horror è uno di quelli più aperti alle sperimentazioni e innovazioni, e quindi, come dice anche Canova, sarà impossibile tracciare delle regole fisse e rigide; ci limiteremo a mettere in evidenza gli elementi più ricorrenti.
Iniziamo con un insistente uso della mdp in movimento: il movimento e l’instabilità dell’inquadratura generano smarrimento e angoscia nello spettatore, che non ha più una visione d’insieme chiara e precisa; si pensi al piccolo Danny che gira in treciclo per i corridoi del gigantesco Overlook Hotel in Shining: lo smarrimento cresce ad ogni pedalata, ed il pubblico si chiede sempre più insistentemente chi ci sarà ad aspettare il povero Danny dietro il prossimo angolo.
Un caso particolarmente angosciante di movimento di macchina, che ricorre spesso nel genere horror, è la soggettiva dell’assassino che segue la sua vittima: movimenti sinuosi della mdp (spesso ottenuti con una steadicam) ci segnalano subito che il nostro punto di vista è quello di una persona; poi sarà la situazione ad avvertirci che si tratta dell’assassino o del mostro; ad esempio, potremmo vedere il personaggio positivo che si guarda intorno come se fosse seguito da qualcuno, e la mdp che rimane ad una certa distanza, mostrando di nascondersi dietro ad alcuni oggetti. Questa particolare ripresa genera nel pubblico una forte suspance, ingrediente essenziale per il cinema horror; un buon esempio è il caso limite de L’uomo senza ombra (Hollow Man, di Paul Verhoeven, 2000), in cui un Kevin Bacon invisibile segue senza essere visto le sue vittime: la mdp in movimento si avvicina molto agli attori, che fingono di non accorgersi di essere seguiti, aumentando così l’inquietudine dello spettatore.
I registi di film horror alternano, attraverso il montaggio, scene come questa, che generano suspance, a forti colpi si scena, che colpiscono l’attenzione dello spettatore attraverso la sorpresa, come, ad esempio, la classica scena dell’assassino che colpisce all’improvviso, sbucando dall’ombra, in un momento in cui la tensione è azzerata dal contesto non minaccioso. Si tratta di scelte stilistiche che mantengono costante l’attenzione, ma anche l’angoscia del pubblico.
È doverosa a questo punto una distinzione tra i termini “suspance” e “sorpresa”: parliamo di suspance quando il regista sceglie di dare allo spettatore degli indizi che lo rendano partecipe, o quantomeno gli permettano di immaginare, quanto sta per accadere alla vittima, che, invece, è all’oscuro di tutto; la sorpresa, all’opposto, scuote di colpo l’attenzione del pubblico, insieme a quella dei personaggi, che non si aspettano ciò che sta per accadere.
Tutto questo, dicevamo, attraverso il montaggio: un montaggio invasivo e serrato è spesso un elemento centrale di un film horror; si alternano velocemente primi piani a campi lunghissimi, inquadrature anomale e inquietanti (di derivazione espressionista) a fuori campo altrettanto minacciosi, che mantengono il ritmo incalzante. * (segue...)
*tratto da Alvise Barbaro, Frankenstein: dall'horror alla parodia, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, 2004.

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