05 dicembre 2007

L’ODORE DEL SANGUE

Regia: Mario Martone.
Con: Michele Placido, Fanny Ardant, Giovanna Giuliani.
Produzione: Mikado, Biancafilm.
Distribuzione: Mikado.
Anno: 2003.
Durata: 98’.

Nel momento più stagnante della propria carriera di scrittore scomodo ed inviato di guerra, Carlo si rifugia nel casolare di campagna dove tutt’altro che in incognito conduce una relazione parallela con Lù, androgina e giovane amante che suole chiamare “il mio ragazzetto”. A Roma invece, in un appartamento sterilizzato dall’ordine e dalle centinaia di libri che incombono dalle pareti, rimane Silvia, l’affascinante consorte dalla quale non ha avuto figli e che ha accettato, se non proprio condiviso, l’interpretazione libertaria data dal marito al loro matrimonio. La solitudine e la sensazione invadente del progressivo scolorire della bellezza nello scivolare monotono dei giorni spingono Silvia a una deriva sessuale che trova nelle ruvide attenzioni di un giovane conosciuto per strada un’illusoria esplosione di vitalità. Annusato il coinvolgimento emotivo della moglie, Carlo per la prima volta viene assalito dal più detestato e borghese dei sentimenti, una gelosia feroce, quasi patologica, che tuttavia ha la chiaroveggenza di intuire lo sbocco fatale di un disordine sentimentale tanto spensieratamente assecondato.
Talento di estrazione e formazione squisitamente teatrali Mario Martone scende con una certa frequenza anche nell’arena cinematografica per misurarsi di preferenza con soggetti estremamente problematici (Morte di un matematico napoletano, 1992; L’amore molesto, 1995). Comprensibile dunque l’interesse per L’odore del sangue, ultimo romanzo, tra l’altro incompiuto, di Goffredo Parise, autore tra i meno leziosi e concilianti della letteratura italiana. Il testo, concepito come uno sfogo personale libero e liberatorio, presentava diversi elementi in grado di minare alle fondamenta la buona riuscita dell’adattamento cinematografico: l’implosione intimista e l’autoreferenzialità del narrare parisiano, la letterarietà dei dialoghi, la scabrosità delle situazioni e il carattere ossessivo dell’indagine di Carlo sui comportamenti sessuali della moglie col giovane amante. Martone si accosta al testo scritto con grande rispetto, deciso tuttavia a conservare l’impatto frontale che ebbe all’epoca sui lettori. L’unica licenza che il regista napoletano si concede nella faticosa opera di trasposizione sta nel ripescaggio della vicenda dall’acquario ultra-ideologizzato della Roma degli anni di piombo. In ossequio a un’abitudine teatrale Martone costruisce la regia sull’intimità dei due protagonisti, Carlo e Silvia, allargando poi lo sguardo in modo non speculare ai rispettivi amanti. Se Lù infatti viene ampiamente presentata al pubblico che la riconosce come un soggetto agente ed autonomo, il giovane e rude amante di Silvia non viene mostrato nemmeno una volta. La scelta, cinematograficamente assai felice, è dunque quella di limitarsi ad evocare il personaggio per dargli la consistenza aerea e ubiqua del fantasma che in effetti abita le ossessioni di Carlo il quale, senza accorgersene, travasa nel rivale tutta la distanza che lo separa dal ricambio ideologico e generazionale in corso. L’ottima resa delle allucinazioni di Carlo, calate come “realtà nella realtà” senza cioè alcun ricorso ai clichè lessicali della voce narrante o della fotografia difforme (sovra- o sotto-esposta), colma almeno un paio di scivoloni in cui Martone è a nostro giudizio incorso in fase di scrittura e di messa in scena. Silvia per esempio è sovente ripetitiva e le espressioni che usa per difendersi dagli attacchi del marito (Niente esclusive) o per giustificare l’attrazione bruciante per un ragazzo di cui potrebbe esser madre (Ha il culto della forza) scadono nella ridondanza che, come si sa, è somma nemica dello sceneggiatore. Martone infine abusa della citazione. Se il riferimento al deserto fisico e psicologico di Antonioni (Zabriskie Point, 1980) attiva qualche fertile suggestione, i riferimenti a La Signora della Porta Accanto (Truffaut, 1981) e, c’è parso di intuire ma vorremmo sbagliare, al recente e pessimo Irreversibile di Gaspard Noè sono sembrati nel primo caso una cortesia per l’ospite (Fanny Ardant) e nel secondo un infausto ma sapientemente mascherato attacco di pigrizia. Impostato su una prospettiva rigorosamente singolare e maschile, L’odore del sangue descrive con toni duri e impudichi la tragedia freudiana di un uomo sopraffatto dalla virilità del rivale inserendola nel più ampio contesto di una parabola senza alcuna morale sugli effetti collaterali di quella libertà indecente tanto sublimemente cantata da Renato Zero (Cercami in Amore dopo amore, Fonopoli, 1998).

Recensione di Alessandro Montanari

2 commenti:

Anonimo ha detto...

la mia è una segnalazione. spero non molesta. magari tra gli utenti del blog c'è qualcuno a cui interessa l'adattamento cinematografico. il gennaio prossimo (22, 23 e 24) si terrà a roma un work shop tenuto da stephen cleary, vero e proprio guru inglese della materia. ci sarà anche mario martone. organizzano vivalibri centro studi e storyfinders. per saperne di più potete fare un salto sul sito www.vivalibricentrostudi.it
thanks

Anonimo ha detto...

bel blog, complimenti, merita davvero!