07 gennaio 2006

Il genere horror (IV): tematiche



Dopo aver iniziato il discorso sugli Esistenti (riferendoci sempre al saggio di Chatman), parliamo ora degli Eventi. Voglio subito ribadire il concetto della standardizzazione dell’intreccio del cinema di genere classico. Il genere horror solitamente rispetta queste linee generali: un protagonista negativo (spesso con particolarità paranormali) è ostacolato da una o più persone (di nobili principi) nei suoi piani criminali: Dracula è combattuto da Van Helsing e compagni per evitare che vampirizzi tutta Londra; il dottor Frankenstein insegue in capo al mondo la sua creatura per evitare che semini morte e distruzione; e in entrambi questi esempi è presente una storia d’amore sullo sfondo. Ma, pur nel generale rispetto di queste regole, questo particolare cinema presenta alcuni temi ricorrenti, che vale la pena evidenziare.
Importantissimo è il concetto di doppio, tanto caro già al cinema tedesco dell’era del muto (Lo studente di Praga), e poi ripreso dall’horror americano. Questo interesse fu riacceso nei cineasti (e non solo) ad inizio Novecento dagli studi di psicoanalisi di Sigmund Freud, il quale catalogava questo concetto nella sfera del “perturbante”. La tematica dello sdoppiamento è rintracciabile in tutta la storia dell’horror, fin dal romanzo gotico: se il caso emblematico è rappresentato da Lo strano caso del Dr. Jekill e Mr. Hyde, in Frankenstein si ritrova già, a livello embrionale, l’idea di scissione della personalità nella metà buona e in quella cattiva, riconducibile all’eterna scissione tra Bene e Male: Victor Frankenstein vede nella propria creatura tutta la malvagità del suo genio. Lo stesso concetto di immagine doppia lo ritroviamo anche in tutti i film sui vampiri, anche se ribaltato: in Dracula l’elemento perturbante è la mancanza del doppio; il vampiro non riflette la sua immagine nello specchio, è privo di quel doppio che tutti gli altri hanno, così da risultare diverso, perturbante appunto.
Più recentemente il tema del doppio è stato ripreso più volte dai registi nell’ambito del thriller e dell’horror: da Hitchcock (Psyco [Psycho], 1960) a De Palma (Le due sorelle [Sisters], 1973) a George Romero (La metà oscura [The dark half], 1990).
Affine in qualche modo a questa tematica, e sempre riconducibile agli studi di psicoanalisi condotti da Freud, è l’interesse che il cinema horror ha sempre mostrato nei confronti dell’ipnosi. Già all’inizio degli anni ’20 la nuova arte del cinematografo veniva paragonata all’ipnosi per il tipo di fruizione passiva a cui si sottoponeva lo spettatore; a sostegno di questa tesi nel 1921 Jean Epstein, critico e cineasta, scrive un articolo. Addirittura, alla fine degli anni ’50, il film Horrors of the Black Museum (1959) di Arthur Crabtree si avvale dell’ipnosi per suggestionare lo spettatore durante la visione del film: come ci spiega Ruggero Eugeni, all’inizio della proiezione del film, un dottore ipnotista appariva sullo schermo e, servendosi dell’ “ipnovista”, ipnotizzava gli spettatori, tentando di rendere più forte l’immedesimazione nella vicenda.
Ma è a livello contenutistico che il tema dell’ipnosi ha inciso maggiormente sul cinema horror. Gli studi di Bellour sottolineano la centralità che hanno avuto in questo senso tre film di Friz Lang: Il dottor Mabuse, Il testamento del dottor Mabuse (Das testament des Dr. Mabuse, 1933) e Il diabolico dottor Mabuse (Die 1000 augen des Dr. Mabuse, 1960), che hanno manifestato, nell’arco di più di quarant’anni, la presenza stabile all’interno del cinema dell’ipnosi come elemento perturbante. Nel corso degli anni diversi film dell’orrore sono ricorsi a questa tematica presa dal cinema tedesco: da Dracula a La mummia, molti personaggi dei classici dell’horror si avvalgono dell’ipnosi; lo stesso mostro di Frankenstein è, almeno all’inizio, un essere privo di volontà che risponde ai comandi di chi lo ha messo sotto il suo controllo, esattamente come accade ad una persona sotto ipnosi. Ma si può risalire fino al 1919 per vedere introdotto nel cinema il tema del controllo della mente: ne Il gabinetto del dottor Caligari di Wiene, Cesare commette degli omicidi sotto l’influsso di Caligari; in questo caso si tratta di un sonnambulo, ma il concetto non cambia: la persona ipnotizzata cade in uno stato di trance, un sonno profondo, prima di obbedire agli ordini dell’ipnotizzatore; cioè, il sonnambulo come l’ipnotizzato, prima di cadere sotto il controllo di un’altra persona, devono uscire dal loro stato di coscienza e divenire altro da sé (alter-ego), un doppio della loro persona soggetto ad un volere estraneo, come anche accade alla piccola Regan, posseduta nel film L’esorcista.
Ed eccoci tornati al concetto di doppio, che, con questa particolare valenza di figura altra da sé priva di mente autonoma, si esplicita palesemente nella figura del replicante (Metropolis [id.] di Fritz Lang, 1926; Blade Runner [id.] di Ridley Scott, 1982) nel filone fanta-horror, o, nell’horror più tradizionale, nello zombi (da White zombie [id.] di Victor Halperin del 1932, a La notte dei morti viventi di Romero e i suoi numerosi sequels), figura ormai divenuta archetipica del genere. E non è forse giusto dire che entrambe queste figure trovano un loro antenato nel Frankenstein di Mary Shelley? La creatura, come un replicante, viene assemblata con diversi pezzi da uno scienziato; e allo stesso tempo è un morto che ritorna alla vita, come uno zombie. Sia zombi che replicanti sottolineano anche l’importanza di un ulteriore tema ricorrente nel genere horror: la Morte. Sembra scontato dirlo, ma la Morte costituisce un elemento di grande importanza a cui il genere horror non può rinunciare: il fascino della Morte, come dice Edmund Burke, nel suo trattato sul Sublime; quindi, oltre che essere la nostra più grande paura, è anche un’allettante attrattiva per il pubblico del film horror; d’altronde bisogna riconoscere che i più famosi protagonisti di horror, da Dracula a Frankenstein, dalla mummia al moderno Freddy Krueger, sono morti tornati in vita; e che, molto spesso, le ambientazioni dei film dell’orrore ci ripropongono il tema della morte in continuazione: da Poltergeist (id., Tobe Hooper, 1982), che riprende l’ambientazione (già usata da Kubrick in Shining) del cimitero indiano sul quale si è costruito, a Cimitero vivente (Pet Semetary, Mary Lambert, 1989).
Vorrei soffermarmi brevemente su un’ultima tematica, ricollegandomi al concetto di controllo della mente. Spesso nel genere horror si tende a sottovalutare e a relegare ad un ruolo subordinato la figura ormai istituzionalizzata e irrinunciabile del “mad doctor”; lo scienziato pazzo trova un importante ruolo di manipolatore all’interno di questi film ed ha un illustre antenato cinematografico nel dottor Caligari, ma anche nel Rothwang di Metropolis e nel Moreau di Island of lost souls (Erle C. Kenton, 1933), e continua ad essere protagonista di horror fino ad arrivare al Seth Brundle di La Mosca (The fly, David Cronenberg, 1986). Ma questo sinistro personaggio era già presente nel romanzo ottocentesco, con un ruolo del tutto rilevante: è il Dr. Jekill, che sfrutta le sue conoscenze scientifiche per liberare la parte più malvagia e bestiale di sé, ma è anche Victor Frankenstein, che sfida la Natura con la presunzione di poter sconfiggere la Morte, anche se le numerose versioni cinematografiche hanno contribuito a darne un profilo molto più positivo di quello che voleva darne la Shelley nel suo romanzo. *
*tratto da Alvise Barbaro, Frankenstein: dall'horror alla parodia, Tesi di Laurea, Università degli Studi, Milano, 2004.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Buonasera!Mi trovavo a cercare in internet spunti interessanti per la mia tesina,visto che a giugno ho l'esame di stato!Frequento il liceo scientifico e ho trovato davvero molto interessante questo articolo per inserire questa tematica nell'ambito della mia tesina,il cui tema è,per l'appunto,"LA PAURA".
Complimenti davvero!
Un saluto,Antonella!